La Disney prosegue con i remake dei suoi cartoni animati in versione live action, e dunque il cartoon Aladdin del 1992 diventa nel 2019 un film interpretato da attori in carne ed ossa diretto da Guy Ritchie, che rimette mano anche alla sceneggiatura insieme a John August, autore di Tim Burton.
Affinché questo remake funzionasse c'erano due conditio sine qua non. La prima era che la magia che fa volare tappeti e trasformarsi il genio fosse realizzabile attraverso effetti speciali computerizzati, e su questo punto il nuovo Aladdin si fa onore: non solo l'impossibile viene reso visivamente possibile, ma conserva quella dimensione incantata che caratterizza la favola di Aladino, prima ancora che il cartone disneyano. Anche alcune scene particolarmente movimentate, in primis l'inseguimento di Aladdin attraverso il mercato di Agrabah, sono rese magnificamente grazie alla regia irrequieta di Ritchie e al talento atletico dell'attore canadese di origini egiziane Mena Massoud, che ha la grazia di un ballerino e l'agilità di un campione di parkour.
La seconda conditio era che l'attore che interpretasse il genio non facesse rimpiangere il suo predecessore, Robin Williams, che non solo ha dato parlantina e tempi comici al suo personaggio, ma è stato di ispirazione per le movenze pirotecniche del gigante blu. Will Smith riesce nella difficile impresa sia perché conserva quella irresistibile fisicità da rapper che caratterizzava il Principe di Bel Air, sia perché è dotato di una simpatia contagiosa che sostituisce dignitosamente il virtuosismo di Williams.
L'Aladdin di Ritchie segue passo passo il cartone animato originale, citando alla lettera molte sequenze e mantenendo intatti elementi iconici come l'ingresso trionfale in Agrabah del principe Alì, o quel Nord Africa da favola che si ispira alla geografia immaginaria di Disneyland, non a caso esplicitamente citata. In quest'ottica gli si perdona persino la trasformazione di una danza araba in un numero da Bollywood, o il casting di un'attrice anglo-indiana, Naomi Scott, nel ruolo di Jasmine.
Più difficili da accettare sono due aggiornamenti alla luce del Time's Up. Il primo riguarda la linea narrativa di Jasmine, che aggiunge una canzone di rivalsa femminile del tutto estranea al cartone originale e piuttosto forzata, considerata l'epoca e il contesto. La seconda riguarda il personaggio della dama di compagnia Dalia (interpretata da un'attrice dal naso visibilmente rifatto, l'iraniana Nasim Pedrad), che diventa oggetto del desiderio del genio, trasformando una potenziale sponda comica "scespiriana" in un espediente romantico per addomesticare l'incontenibilità del gigante.
Nell'insieme però questo Aladdin riesce ad essere all'altezza spettacolare del suo precedente animato "favolosizzando" (come direbbe il genio) ogni dettaglio. I ritmi e le coreografie sono coinvolgenti e le linee narrative convergono in una storia di liberazione dalle paure e di affermazione identitaria che ben si adatta alla nostra epoca, permettendosi qualche stoccata alla politica: "Ruba una mela e sei un ladro, ruba un regno e sei uno statista". E non sono casuali i riferimenti alla Primavera Araba come al diritto delle donne di far sentire la propria voce in Paesi e culture in cui viene troppo spesso zittita.
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