Con ironia e tenerezza la Dreamworks spettacolarizza uno dei momenti più delicati della vita del bambino: la nascita di un fratellino, con la valanga di aspettative infrante che porta con sé e il carico altrettanto pesante di timori che lo accompagnano, primo fra tutti quello di vedersi abbandonare dall'amore dei genitori a suo unico e insopportabile beneficio.
Dietro l'eccentrica e spionistica realtà del film di McGrath è facile intravedere lo zampino della fantasia di Tim, che lo porta ad esagerare drammaticamente l'evento: il bebè, esigente e capriccioso com'è nella natura di ogni bebè essere, è, ai suoi occhi allarmati, un piccolo boss, dittatoriale e vendicativo, qualcuno da restituire al più presto al mittente (non è il sogno di molti fratelli maggiori quello di essere incappati in uno sbaglio e di dover salutare il nuovo arrivato e tornare al regime di monopolio sentimentale di prima, come se niente fosse accaduto e nove mesi di gestazione non fossero mai passati?). Il risultato è naturalmente comico, specie quando filtrato attraverso lo sguardo dei coniugi Templeton, che interpretano le acerrime discussioni dei figli come innocenti giochi infantili, esasperando la frustrazione del povero Tim.
In fondo, ogni fratellino è uno sconosciuto con cui bisogna prendere le misure, un pacco regalo spesso non richiesto, un altro, che porta sì il nostro cognome, ma è comunque altro da noi, spesso diversissimo, in modo fastidioso e inaccettabile. Solo la quotidianità della frequentazione, la condivisione dei momenti belli e di quelli meno belli, farà di lui, pian piano, non più un estraneo ma un complice, una spalla, uno degli affetti più grandi della vita. Fratelli si diventa, insomma, ma solo dopo aver superato le prove di rito. E più grande è l'avventura, più forte il legame che nasce da essa.
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