Di talento, Xavier Dolan ne ha da vendere, e lo sa.
E, a 25 anni, compiuti da poco, si può capire che questo talento abbia voglia di esibirlo, non senza un certo compiacimento.
Perché ci vuole un certo compiacimento nella scelta di giocare con i formati come fa in Mommy, di utilizzare trucchetti e artifici di grande effetto ma un po' furbetti, di stiracchiare fino a due ore e un quarto di durata una storia che poteva essere raccontata con almeno venti minuti in meno.
Mommy, allora, è un brutto film, un film noioso?
No, ma è un film in parte sbagliato, che avrebbe potuto essere molto di più se Dolan avesse imbrigliato maggiormente il suo istrionismo e soprattutto se avesse scartato narrativamente e tematicamente rispetto alle cose che va raccontando fin dal suo esordio. Non solo, ovviamente, il rapporto appassionato e conflittuale con la madre, qui centrale come lo era in J'ai tué ma mère, ma la natura assoluta, ambigua e distruttiva dell'amore e del desiderio, le sue contraddizioni, le luci infuocate e le ombre fosche e cupe.
In Mommy, Dolan si racconta nei panni del figlio problematico e borderline di una donna sola e spiantata che cerca disperatamente di tenerlo con sé e di non cedere a chi gli suggerisce un ricovero coatto; nei panni di un adolescente irrefrenabile e vulcanico (come irrefrenabile e vulcanico è il regista stesso nel suo modo di far cinema), che vede raddoppiarsi la figura materna con l'entrata in scena di una vicina di casa la quale, a sua volta, proietta su di lui le sue dinamiche di desiderio materno e i suoi lutti.
Nulla da ridire, ma in Mommy si cerca e si attende sempre che Dolan scarti, che batta nuove strade, o che sia in grado di offrire un angolo d'approccio diverso sulle sue ossessioni. E questo non avviene mai, perché Dolan è tutto concentrato sulla forma del suo film, sulla scelta di girare in un formato 1:1 che rispecchia gli orizzonti confinati e ristretti dei suoi protagonisti, pronto a cambiare quando l'illusione di un futuro migliore si fa avanti, su una fotografia calda e avvolgente, su un iperdinamismo della macchina da presa che non arriva mai ai livelli di quello fisico e verbale dei suoi attori.
Come quello del cinema tutto di Dolan, il cui maggior talento è quello di esprimere un'energia vitale, nervosa ma sempre propulsiva come pochissimi altri al mondo. Ed è grazie a questa carica elettrica e innegabile che, in parte o del tutto, si perdonano a Mommy il narcisismo, gli eccessi di urla e nevrosi, una prospettiva in qualche modo limitata che fatica ad evolversi.
Perché, giochetti col formato a parte, forse solo Xavier Dolan può permettersi di usare in colonna sonora "Wonderwall" degli Oasis, peraltro in versione integrale, senza risultare mai né stucchevole né retorico.
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