Quella del nuovo film di Ruben Östlund non è una piazza. No, The Square è proprio un quadrato.
O meglio: è il nome di un'opera che il protagonista del film - Christian, curatore di un museo d'arte moderna e contemporanea di Stoccolma - acquista grazie a i soldi di una donazione.
Un'opera che poi non è altro che il perimetro di un quadrato piazzato a terra, con una targa che recita: "Il Quadrato è un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri."
Questa cosa un po' ovvia (perché, e il punto è quello, il Quadrato dovrebbe comprendere ogni luogo), unita al ritratto di Christian - che da subito viene raccontato come un bambinone vanesio e donnaiolo, capace di riempirsi la bocca di tante parole astruse e vuote - potrebbe far pensare che il bersaglio di Östlundsiano le tante piccole e grandi contraddizioni e ipocrisie del mondo dell'arte.
Ma lo svedese mira in realtà molto più in alto, partendo da lì per raccontare coi toni della commedia ovattata e satirica sì contraddizioni e ipocrisie, ma quelle della società tutta.
Christian presenta con orgoglio la sua opera, ma per strada, come tutti, scansa i mendicanti, e fa fatica a voltarsi quando gli pare di udire una richiesta di aiuto. Però, quando la richiesta è più chiara e pressante, forse non evitabile, magari dona, magari si volta. Aiuta.
E proprio per aiutare, un mattino, si ritrova derubato di telefono e portafogli: e da qui, dal tentativo di recuperali andato a buon fine, parte un effetto domino che cambierà la sua vita per sempre.
Per riavere le sue cose, il protagonista di The Square giocherà la carta di un'aggressività incosciente e classista, rifiutandosi poi di offrire le sue scuse a chi, innocente, si è sentito offeso e discriminato dalle sue accuse.
In questo personaggio che si muove in Tesla, che è sempre elegante, che non esita a portarsi a letto una giornalista tv rivendicando poi la legittimità dell'orgoglio per il trofeo ottenuto, generoso solo quando ha tornaconto o quando gli gira bene, che predica bene e razzola male, ci sono tutte le ingiustizie e le contraddizioni del nostro mondo. C'è la forbice socio-economica che taglia in due le nostre società, c'è la cialtroneria e l'immaturità della classe dirigente.
Ma Christian non agisce mai in malafede, o con arroganza. Non è cattivo: è che lo disegnano così, come siamo disegnati noi. È umano. Per questo, in lui, ci si può specchiare.
Inquadratura dopo inquadratura, situazione paradossale dopo situazione paradossale, Östlund sgretola a colpi d'ironia e assurdo tutte le sovrastrutture sociali, mettendo a nudo l'inadeguatezza e il ridicolo insito tanto in esse quanto nella letteralità nuda dei fatti e delle intenzioni, provocando lo spettatore e mettendolo in posizioni scomode e disturbanti (a volte anche troppo, come quando fa il Von Trier più scanzonato).
Spinge a farci domane che di solito preferiamo non farci, come lui inquadra spesso quel che quel che sarebbe spontaneo inquadrare. E la risposta non sempre è gradevole.
Tutto preso però dal suo ampio respiro e dallo stile disteso e ovattato che è proprio del suo autore, The Square non trova sempre l'efficacia cercata per via di un'eccessiva auto-indulgenza (la stessa di Christian?) e per la voglia di dare una conclusione troppo ovvia, spiegata e pacificata al caos interiore del suo protagonista.
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